Dal cantiere di Palazzo Ducale alla città….l’impronta di Federico da Montefeltro a Gubbio

Il Palazzo Ducale è per eccellenza il luogo che custodisce la memoria di Federico da Montefeltro a Gubbio, sua città natale e divenuta con la sua reggenza la seconda capitale del Ducato di Urbino. La residenza di corte sorse per volere del Duca in posizione elevata ai piedi del monte Ingino, di fronte la Cattedrale. A differenza di quella urbinate la dimora eugubina non si imponeva nell’abitato ma si celava tra le architetture medievali cittadine, mostrando il suo fascino rinascimentale all’interno. Lo splendore originario del Palazzo Ducale è oggi intuibile nell’eleganza dell’architettura e negli elementi d’arredo sopravvissuti ai secoli e alle spoliazioni. Nei documenti eugubini dell’età federiciana la residenza ducale era chiamata “corte nuova” e veniva definita “magnifica, splendida e sontuosa”. Per realizzarla il duca Federico scelse i migliori artisti, affidandosi ai maestri che avevano lavorato alla grandiosa reggia urbinate. Architetti, scultori, intarsiatori, pittori si trasferirono nel nuovo cantiere di Gubbio portando un repertorio di soluzioni architettoniche e decorative che rendeva immediatamente riconoscibile lo “stile Montefeltro”.

Regista indiscusso dell’impresa, compiuta tra il 1474 e il 1480, fu l’architetto senese Francesco di Giorgio Martini: artista poliedrico, non curò solo la progettazione della nuova residenza rinascimentale ma eseguì anche i disegni di alcuni decori, quali fregi per porte, camini, finestre e immagini prospettiche per il celebre Studiolo. La forte presenza, nella Gubbio del Quattrocento, di reperti antichi anche monumentali, come il Teatro Romano, sarà per Francesco di Giorgio un’incredibile fonte di ispirazione artistica. Candelabre, cornucopie, palmette, volute, delfini e infiorescenze sono i principali motivi decorativi nelle finestre del cortile loggiato e nei camini interni; sulle cornici delle porte risaltano invece stemmi e imprese che celebrano il potere di Federico e il suo valore come uomo di stato e condottiero. Tali raffinati decori ispirati all’antico furono scolpiti, su pietra arenaria grigia, dalla bottega milanese di Ambrogio Barocci in collaborazione con lapicidi locali.

Il palazzo Ducale, le sue decorazioni e i suoi arredi, influenzarono profondamente le arti cittadine e orientarono le committenze verso il nuovo linguaggio rinascimentale. Le casate eugubine più in vista della seconda metà del Quattrocento e del Cinquecento rinnovarono le loro dimore imitando lo stile Montefeltro, come testimonia il bel portale di Palazzo Bartolini Della Porta. Non mancano le testimonianze negli edifici religiosi, come attestano i decori dei portali della Basilica di Sant’Ubaldo al monte Ingino o quelli meno noti di un’edicola mariana nell’ex-ospedale cittadino, nei pressi della chiesa di San Francesco. Anche le tarsie lignee dello Studiolo (presente oggi a palazzo in forma di replica) ebbero un’influenza importante nella produzione artistica locale. L’opera fu eseguita dalla bottega di Giuliano da Maiano con la tecnica dell’intarsio prospettico, con la quale si ricreava l’illusoria presenza di arredi e oggetti simbolo degli interessi culturali del Duca. Pensato come spazio di meditazione e contemplazione, lo Studiolo si apriva allo stupore degli ospiti importanti in visita alla corte ducale, divenendo ben presto un’opera di riferimento per molti artisti. Ne è un esempio il pregevole leggio girevole situato nel coro della chiesa di san Domenico, attribuito ad un anonimo maestro umbro-marchigiano della fine del XV secolo; esso rappresenta la punta di diamante di una feconda e apprezzata attività dei maestri del legno, tra i quali si ricorda Mariotto di Paolo Sensi detto il Terzuolo, Pierangelo di Antonio della Mea e la Bottega di Luca Maffei.

Il clima culturale quattrocentesco di riscoperta del mondo antico, che tanto ispirò lo stile Montefeltro, motivò nel 1456 l’acquisizione delle celebri Tavole Iguvine. Le sette lastre di bronzo furono ritrovate a Gubbio, nelle vicinanze del Teatro Romano proprio nel 1444, in coincidenza con l’ascesa al potere di Federico. Le epigrafi sono conservate oggi nel Museo Civico e risalgono  al III – I secolo a.C; tramandano il più lungo e importante testo rituale dell’Italia antica, redatto in lingua umbra utilizzando due alfabeti dell’epoca, etrusco e latino. Il notaio ser Guerriero da Gubbio, uomo di fiducia di Federico, si occupò della compravendita delle Tavole insieme ai Consoli della città; si trattò di un avvenimento unico nel suo genere perché ad entrare in possesso del documento storico non furono vescovi, principi o umanisti ma un’istituzione pubblica nell’interesse di una comunità. Potremmo leggere questo atto come uno dei primissimi esempi noti di conservazione e musealizzazione di reperti antichi.

GUALDO TADINO AL TEMPO DEI MONTEFELTRO

I poeti Francesco e Girolamo Tromba
di Gabriele Passeri

A cavallo tra XV e XVI secolo Gualdo Tadino, divenne un polo culturale estremamente vivace ed attivo, con risvolti significativi non soltanto per il territorio, ma anche per il panorama italiano. La fine del XV secolo rappresentò una svolta fondamentale, la città di Gualdo trovandosi a confine con il Ducato di Urbino, divenne un baluardo imprescindibile per lo Stato della Chiesa, che qui impiantò una legazione autonoma. La presenza di una corte cardinalizia all’interno del territorio favorì un notevole sviluppo culturale, che si riverberò in molteplici aspetti del tessuto sociale. In questo periodo di splendore la cittadina umbra venne restaurata per accogliere i nobili cortigiani, la Rocca Flea, nata come fortezza difensiva, subì notevoli cambiamenti, trasformandosi in palazzo rinascimentale. L’acquedotto cittadino venne ricostruito grazie agli interventi di ripristino della legazione pontificia e la città si arricchì di numerose fontane di cui una particolarmente notevole, addossata alla Cattedrale di San Benedetto e visibile ancora oggi, venne realizzata dallo scultore Michelangelo Lucesole, su progetto di Antonio da Sangallo il Vecchio.

Questi anni, vivaci e pieni di creatività, rappresentano un importante punto di riferimento per la cultura gualdese e tra i tanti personaggi, di cui esistono importanti letterature scientifiche, risultano poco indagate le figure di due poeti rinascimentali, che proprio a Gualdo Tadino ebbero i natali: Francesco e Girolamo Tromba. Di questi due scrittori possediamo scarsissime notizie biografiche, le loro vite vengono tradizionalmente collocate a cavallo tra l’ultima metà del secolo XV e la prima metà del secolo XVI, il periodo in cui questi poeti furono attivi; risulta verosimile che il loro cognome non sia attribuibile a un patronimico ma piuttosto ad un mestiere, non è da escludere che i due esercitassero il mestiere di trombettieri e cantastorie. È ipotizzabile che il più grande dei due fosse stato Girolamo, in quanto di lui esiste una pubblicazione datata 1498: Libro delle battaglie del Danese, di molto precedente rispetto alla Draga de Orlando innamorato, una delle prime pubblicazioni di Francesco, che è datata 1525.

Francesco Tromba fu tra i due sicuramente il più famoso, di lui possediamo un elenco di titoli più vasto e certo. Egli come molti suoi coetanei del calibro del Boiardo e dell’Ariosto, si occupò prevalentemente di poemi cavallereschi e opere di guerra in ottava rima. Di lui come abbiamo già precedentemente accennato non possediamo molti dati biografici, ma grazie alle pubblicazioni e a qualche breve accenno personale all’interno delle sue opere scorgiamo l’operato di un poeta sicuramente conosciuto e apprezzato dal ceto medio-alto dell’epoca. Con ogni probabilità egli fu un cortigiano, vicino soprattutto alla famiglia Baglioni di Perugia, ma anche presso Felice della Rovere, figlia illegittima di Papa Giulio II. Tra le sue opere annoveriamo: La Trabisonda, data incerta; Guerre e battaglie nuovamente fatte in Provenza, Perugia 1525; Opera nova chiamata la Draga de Orlando innamorato, Perugia 1525; Rinaldo furioso di messer Marco Cavallo anconitano, Venezia 1526; Incomincia el secondo libro della Draga de Orlando, Perugia 1527; Rinaldo furioso di Francesco Tromba da Gualdo di Nucea, Venezia 1530; Rinaldo furioso. Il primo e il secondo libro di Rinaldo furioso di Francesco Tromba di Gualdo di Nucea, Venezia 1530. I testi del Tromba subirono nel corso degli anni numerose interpolazioni e rimaneggiamenti, in certi casi venne addirittura sostituito o trascurato il nome dell’autore, come nel caso del Rinaldo furioso attribuito faziosamente a Marco Cavallo, o come nella Trabisonda in cui, in alcune edizioni, il nome scompare completamente. Nei confronti dell’ultimo titolo citato, la Trabisonda, si espresse a riguardo la critica letteraria con due tesi nettamente contrastanti tra loro: opera certa di Francesco, secondo il Quadrio, opera spuria secondo il Melzi. Il Guerrieri, grande erudito di storia gualdese, ben consapevole di questa disputa, riconosce in questo volume la mano dei fratelli Tromba, avallando la teoria del Quadrio.

Bibliografia

  • Guerrieri, Vita civile ed ecclesiastica della città di Gualdo Tadino, Gubbio 1933.
  • S. Quadrio, Della storia e della ragione dogni poesia, IV, Milano 1749.
  • Carlotta Francesca Maria Sticco – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 97 (2020).
Federico da Montefeltro, pannello in ceramica

FOSSATO DI VICO

Ciò che unisce Federico da Montefeltro e Fossato di Vico è l’interesse di Federico per la cultura e la letteratura. Conosciamo l’impegno e la dedizione che Federico impiegò per allestire la prestigiosa biblioteca collocata all’interno del Palazzo Ducale di Urbino che, tra le centinaia di manoscritti, accoglieva un grande capolavoro come il Dante-Urbinate. Stretto quindi è il rapporto tra Federico e la Commedia che si intensifica grazie alla presenza di Guido e Bonconte da Montefeltro collocati rispettivamente nel XXVII canto dell’Inferno e nel V canto del Purgatorio.

La Divina Commedia che unisce dinastie, nomi e territori dunque: a Fossato di Vico il merito di aver ritrovato un manoscritto pergamenaceo del XIV secolo con alcuni brani del Paradiso custodito all’interno dell’Antiquarium comunale.

Fossato di Vico però, attraverso gli affreschi della Piaggiola, si dimostra essere anche un punto di passaggio di notevoli maestranze come Ottaviano Nelli, maestro eugubino legato anche ad Urbino, dove soggiorna tra il 1417 e il 1420 e presente a più riprese fino almeno al 1444.
Grande mobilità nel rinascimento, a dispetto di quello che si può pensare, e Fossato di Vico dimostra il grande viaggio di uomini, mercanti, madonne, cavalieri e artisti anche attraverso gli Statuti della città che descrivono il mercato cittadino.