Paesaggi montani, larghe e strette vallate, altipiani soleggiati e poi boschi, fiumi e sorgenti d’acqua purissima. L’Umbria di Nord-Est è un territorio variegato, crocevia di importanti vie di comunicazione millenarie, una terra che ha saputo conservare ma anche contaminare la sua ricchissima cultura enogastronomica.
L’aspetto morfologico del territorio è sicuramente quello che per primo influenza e plasma la cucina di un popolo. Non si può prescindere da esso per descrivere la ricchezza culinaria che troviamo in queste valli affacciate sull’Appennino centrale.

Il verde intenso dei fitti boschi di querce, cerri e roverelle fanno da altare ai prodotti che più caratterizzano l’impronta culinaria delle nostre terre: i prodotti del bosco.  Parlando di essi non possiamo che iniziare il nostro viaggio nei sapori della nostra terra partendo dal più pregiato, il Tartufo. Ma si fa presto a dire Tartufo, in realtà bisognerebbe parlare di tartufi.
Il Tartufo Bianco Pregiato (Tuber Magnatum Pico) detto anche Trifola è il re di questa famiglia.
Il tartufo bianco per nascere e svilupparsi ha bisogno di terreni particolari con condizioni climatiche altrettanto particolari: Il suolo deve essere soffice e umido per la gran parte dell’anno, deve essere ricco di calcio e con una buona circolazione di aria.
Nel vasto territorio dell’Umbria di Nord-Est sono numerose le cosiddette “Tartufaie”, cioè quei particolari luoghi in cui i tartufi, grazie alle favorevoli condizioni del terreno e del clima, crescono in abbondanza. Le zone più rinomate per la Trifola le troviamo nei dintorni di Pietralunga e nelle vaste dorsali che circondano Gubbio, ma ogni “cavatore” custodisce con massima segretezza le sue Tartufaie migliori.

Il parente meno nobile del pregiato Tartufo bianco è il Tartufo Nero che si suddivide nella sua varietà estiva detta Scorzone e in quella invernale detto Nero Dolce.
Tutte queste varietà hanno straordinaria importanza nella cultura culinaria del nostro territorio, capaci con i loro eccellenti profumi, di rendere speciale anche un semplice piatto di gnocchi, magari preparati con la rinomata patata di Pietralunga.
Per questo motivo intorno al tartufo vive fiorente una vera e propria industria fatta di cavatori, di aziende di trasformazione e lavorazione, di fiere mercato e commercio. Di tartufo sono poi pieni i menù di tutte le molte trattorie che offrono al goloso visitatore primi, secondi e addirittura dolci contenenti questo prezioso e unico ingrediente.

Le floride foreste del Nord-Est Umbro sono anche habitat per decine e decine di specie diverse di animali selvatici, che da tempo immemore costituiscono una risorsa culinaria di primaria importanza.
Testimonianze certe ci dicono che la selvaggina era presenza fissa già sulle tavole degli Umbri, l’antico popolo che viveva nelle nostre valli in epoca pre-romana, e rappresentava un’integrazione proteica importantissima alla cerealicoltura.
Soprattutto cinghiali, ma anche caprioli, lepri e anatre selvatiche, ingredienti utilizzati a tutto tondo nella cucina umbra per la preparazione di secondi, arrosti e stufati, ma anche di sughi per condire primi piatti ricchissimi e saporiti. IL Cinghiale ha poi un ruolo fondamentale nella cultura enogastronomica di quest’area, essendo non solo cucinato fresco ma anche, anzi, forse soprattutto, utilizzato per la preparazione di insaccati di ogni genere.
Accanto al cinghiale selvatico l’allevamento di suini è forse il più caratteristico allevamento di questa regione italiana. Da sempre “il maiale” è un cardine nella cultura agricola e rurale, adatto alle zone montane dove viene allevato anche in stato semi brado, con ghiande, legumi e cereali poveri, così come alle vallate dove si presta a un allevamento più strutturato ma mai intensivo.
Come il suo parente selvatico anche il suino da allevamento è principe della cucina del Nord-Est Umbro, ma è negli insaccati che, della sua lavorazione, gli Umbri ne hanno fatto vera arte. La Norcineria, simbolo di questa millenaria tradizione, è il luogo che più rappresenta l’infinita capacità di conservare, lavorare e trasformare in opere d’arte culinarie le carni dei suini.
Prosciutti, salami, salsicce fresche, secche, sott’olio e poi guanciali e pancette, il visitatore che entra in uno di questi tipici locali rimane ammaliato dai profumi, dai sapori, dalle forme e dalle varietà di salumi di suino che può trovare.
Non secondario all’allevamento di suini troviamo, poi, l’allevamento di bovini ed ovini, sia da carne che da latte. Gli ampi pascoli d’alpeggio appenninico favoriscono l’allevamento estensivo di razze pregiate di bovini da carne, magre e ricche dei profumi e delle caratteristiche organolettiche che solo l’immensa varietà di erbe e fiori selvatici del pascolo possono donare.
La pregiata razza di bovini Chianina ha origini antichissime. Progenitori sono quei grandi bovini bianchi che si vedono raffigurati da Etruschi e Romani per cortei e sacrifici o in scene di vita silvo pastorale. Oggi la razza Chianina è protetta dal disciplinare IGP e allevata da appassionati allevatori nei pascoli del Monte Cucco, così come a Pietralunga che deve il suo nome al nomignolo tardo romano “Pratalonga”, nato dai grandi pascoli di cui era ricca, testimonianza del legame millenario con l’allevamento bovino. Gli ovini forniscono invece la vitale materia prima che, una ricca industria casearia, trasforma nei pregiati pecorini di cui è ricchissima la cultura culinaria del Nord-Est umbro. Non basterebbe un’intera enciclopedia per raccogliere e raccontare le varietà di pecorini che possiamo trovare visitando le norcinerie, le botteghe e le taverne dei nostri borghi.
Il pecorino stagionato in fossa, prodotto nella zona del Parco del Monte Cucco e nel territorio di Gualdo Tadino, figlio di quella tradizione millenaria che attraversa tutta la dorsale appenninica italiana, trova in questa terra una straordinaria dimostrazione di sapienza e cultura del cibo. I fieni di pascolo finemente selezionati per essere materia prima, fresca, ricca e profumata donano alle fosse di fermentazione umbre dei sapori caratteristici, autoctoni e primordiali.
A questa sapienza si accosta quella contadina di insaporire le formelle di formaggio fresco messe a stagionare con ingredienti del luogo, dove tra questi spicca sempre lui, il principe dei sapori umbri, il tartufo. Il pecorino al profumo di tartufo è una prelibatezza che accompagna i ricchi antipasti misti che tradizionalmente aprono il pasto domenicale.

Dopo aver attraversato le montagne e le valli del Nord-Est umbro alla scoperta dei sapori di questa terra è entrando nelle case, nelle ricche tavole imbandite di formaggi e salumi, che troviamo la più curiosa e riconoscibile delle tradizioni culinarie Umbre, la Crescia. La Crescia è una sorta di focaccia che prende tanti nomi lungo tutta la regione. Nel Nord la chiamano ciaccia, nome utilizzato anche nelle valli di Pietralunga, al centro torta al testo, al sud diventa torta sul panaro, e a Gubbio e nei suoi dintorni è semplicemente la Crescia. Ogni luogo ha ovviamente la sua particolare ricetta, la sua variante di preparazione, ma tutte hanno in comune l’origine antichissima. Ne troviamo testimonianza, infatti, nelle 7 Tavole Iguvine redatte tra il III e il I sec. a C, dove, nella descrizione del banchetto rituale, troviamo menzione della mefa, un impasto di acqua, farina e sale che cotto su larghe pietre roventi serviva sia da accompagnamento che da “piatto” alle altre pietanze. Oggi questa tradizione millenaria vive nelle crescia e nelle sue varianti locali. Servita calda è perfetta per accompagnare i salumi e i formaggi della cultura culinaria umbra e a Gubbio immancabile compagna dell’altro caposaldo della cucina locale: il friccò di pollo o carni miste condito con sugo e spezie.

La crescia non è l’unico piatto della tradizione ad avere origini antichissime. A Nocera Umbra troviamo ad esempio il Biscio, impasto salato che la tradizione colloca nell’antica storia Longobarda. La sfoglia, povera d’acqua, olio e farina, raramente si aggiunge l’uovo, viene tirata con maestria fino a renderla sottilissima; la farcitura è composta da verdure di campo stagionali a foglia, saltate in padella e condite con una generosa manciata di pecorino grattugiato. Il tutto si arrotola, diventando per forma e colore simile ad una biscia, da cui prende il nome. Una volta sfornato può essere servito sia freddo che caldo. Tradizione vuole che fosse il pasto dei pellegrini in cammino sulla Via Francescana che, con grande devozione, raggiungevano Nocera, luogo scelto da San Francesco per trascorrere i suoi ultimi giorni. Il biscio è strettamente legato alla filosofia di vita del Santo, perché riconducibile all’essenziale e alla povertà. L’Antico Monastero di San Biagio, sempre nel territorio di Nocera Umbra è anche uno dei luoghi di produzione di birre artigianali italiane più suggestivi e incantevoli.

Nella ricca tradizione dei prodotti da forno dell’Umbria di Nord-Est ce n’è uno che merita, poi, una menzione speciale, la Torta di Pasqua o Crescia di Pasqua. È tra le pietanze storiche servite nella colazione della mattina di Pasqua, tradizionale “rito” tipico del centro Italia. Si presenta in due tipi, uno salato ed uno dolce, per entrambi la forma è simile a quella di un panettone. La versione salata è arricchita nell’impasto con formaggi locali e, con il suo sapore inconfondibile, viene servita tiepida o fredda accanto ai salumi della tradizione.