NOTE SU ALDO AJÒ E LA SUA PRODUZIONE PRESENTE NELLA COLLEZIONE DI CERAMICA DEL MUSEO CIVICO DI GUBBIO

La Collezione di ceramica del Museo civico di Gubbio non poteva non accogliere, nel suo seno, le opere del grande ceramista eugubino Aldo Ajò (1981 – 1982), gentilmente donate dalla vedova Ines Spogli. Carattere dominante delle creazioni di Ajò è, senza dubbio, l’unione armoniosa di tradizione ed innovazione, il gusto per l’avanguardia espressiva unito al richiamo per la dimensione ancestrale dell’uomo. Il lustro di Ajò sorvola le vette classiche della maiolica rinascimentale, ma solo per librarsi più libero ed originale in una sperimentazione audace di toni e riflessi, quasi trasognati. Ne è esempio la sua intrigante Sirena, mentre in “Don Chisciotte e Sancho Panza” cogliamo quasi la spontaneità di un pastello fanciullesco, di quel fanciullino che abita in ogni sana utopia. Nel “Cristo portacroce”, tragedia, coralità e dinamismo, vibrano all’unisono ed accompagnano l’ascesa al Calvario; lo stesso dinamismo e la stessa plastica efficacia la ritroviamo nel “ciclo” di Adamo ed Eva, nel San Francesco che pare abbracciare, nel suo gesto, tutta la Città ed insieme chi osserva lo osserva, nonché nel pannello “I Santi dei Tre Ceri”, uniti in comunione fisica con la Città come i balestrieri, protagonisti di un altro pannello e ritratti in posa gioiosa ed anzi trionfale. Dal mondo popolaresco e colorito delle carte da giuoco, esce fuori un “Re di Coppe” che impugna uno scettro richiamante la simbologia medievale, tanto diffusa nella nostra Città; dall’universo agreste, schietto e verace, così vivo nella sensibilità do Ajò, prendono forma “La raccoglitrice di spighe”, “Le scartocciatrici”, la “Coppia di contadini con bambino ed alcuni animali”: nei volti e nei gesti, la serenità di una vita dura, ma in simbiosi con i ritmi naturali. Gli animali vengono ad assumere dignità autonoma di soggetti ritratti con il tacchino, le galline, il pesce, il maiale, tutte opere fra loro diverse, a testimoniare l’estro e l’originalità dell’artista, eppure unite dal file rouge di una cromaticità discreta, da un gusto quasi verista, che non si deprime mai nello scolastico. Una spiritualità laica e profonda la si coglie nella “Madonna col Bambino”, un’Alma Mater che tiene il Bambin Gesù in seno, circondato dalle sue braccia come in un ovale, simbolo di fertilità e creazione. C’è, parimenti, una religiosità naturale, una pietas radicata, una fede quasi ancestrale che emana dal vaso che ritrae, con straordinario pendant di lucentezza del bianco e delicatezza del profilo cromatico, un uomo ed una donna che si tengono per mano attorno al fusto di un alberello, a rinnovare quasi, con la circolarità subliminale del movimento, l’Albero della vita ed il fiorire copioso dei suoi frutti.