Federico da Montefeltro e Gubbio
Nel sesto centenario della nascita di Federico da Montefeltro (1422-2022) Gubbio dedica al celebre condottiero, umanista e mecenate, figura centrale del Rinascimento italiano, una grande mostra dal titolo Federico da Montefeltro e Gubbio. Lì è tucto el core nostro et tucta l’anima nostra allestita nelle tre sedi espositive di Palazzo Ducale, Palazzo dei Consoli e Museo Diocesano e tesa a indagare il particolare legame tra il duca di Urbino e la città umbra, sottoposta al dominio feltresco a partire dal 1384.
Secondo i biografi Federico nacque proprio a Gubbio il 7 giugno 1422, più precisamente nel castello di Petroia, e nella stessa città, cinquant’anni più tardi, vide i natali l’agognato figlio maschio Guidubaldo (così chiamato in onore del santo patrono eugubino) e al contempo morì l’amatissima seconda moglie Battista Sforza. Le vicende biografiche legano quindi indissolubilmente Federico a Gubbio, seconda città per importanza dello Stato feltresco, dotata di un proprio Palazzo Ducale all’interno del quale egli fece approntare uno studiolo ligneo in tutto simile a quello della capitale, palazzo dove la corte poteva soggiornare godendo delle stesse comodità di Urbino ma lontana dalle ambasce politiche e militari. L’affetto nutrito da Federico da Montefeltro per Gubbio è confermato dalla frase che fa da titolo alla mostra, estrapolata da una lettera inviata nel 1446 alle magistrature cittadine, e dovette essere di certo reciproco se, come ricordano le fonti, gli eugubini erano soliti salutarlo per strada con il motto “Idio ti mantenga, signore”, anche in considerazione del fondamentale impulso economico che la presenza della corte feltresca impresse alla città, stimolando le attività manifatturiere e migliorando le condizioni di vita dei suoi abitanti.
La rassegna, curata da Francesco Paolo di Teodoro con Lucia Bertolini, Patrizia Castelli e Fulvio Cervini, ripercorre il periodo di massimo splendore della dominazione feltresca a Gubbio, compreso tra la nascita di Federico nel 1422 e la morte di Guidubaldo nel 1508, anno in cui la casata dei Montefeltro si estinse.
Cuore della mostra è il rinascimentale Palazzo Ducale: edificato per volere di Federico inglobando a monte la “Corte Vecchia”, residenza del padre Guidantonio, e da basso il primitivo Palazzo comunale della città, è sia contenitore che oggetto di esposizione esso stesso. Al suo interno la vicenda biografica del duca di Urbino è ricostruita attraverso una selezione di ritratti di famiglia (i rilievi lapidei di Federico, della moglie Battista Sforza, del presunto fratello Ottaviano Ubaldini della Carda; il ritratto miniato del figlio Guidubaldo) e di medaglie e monete, realizzate dai principali medaglisti del Quattrocento, che mettono in evidenza la fitta rete di relazioni (non sempre amichevoli) tra i Montefeltro e le famiglie gentilizie a capo delle signorie di tutta Italia. Un nutrito gruppo di formelle fittili con le insegne federiciane, provenienti dallo sporto del tetto dell’edificio e recanti ancora traccia dell’originaria policromia che richiamava l’araldica feltresca, introduce la sezione dedicata a Palazzo Ducale dove ampio risalto è dato alle vicende costruttive e all’architetto senese Francesco di Giorgio Martini, a servizio del duca sia a Gubbio che a Urbino, del quale sono esposti numerosi manoscritti insieme ai più famosi testi della trattatistica tecnico-scientifica di riferimento, da Vitruvio a Leon Battista Alberti a Piero della Francesca. Seguono le sale riservate all’ornamentazione plastica del palazzo, opera dello scultore Ambrogio Barocci. L’ultima sezione è incentrata sulle arti a Gubbio da Guidantonio a Guidubaldo, con dipinti di Ottaviano Nelli e Jacopo Bedi, testimoni dei più antichi orientamenti della pittura eugubina del Quattrocento, e di Bernardino di Nanni dell’Eugenia, Orlando Merlini e Sinibaldo Ibi, significativi interpreti locali del Rinascimento, oltre alla piccola ma preziosa Annunciazione di Francesco di Giorgio. Non poteva mancare l’arte della tarsia lignea: cassoni, porte e scuri di finestre originari del palazzo, unitamente al monumentale Badalone proveniente da San Domenico, preparano il visitatore alla scoperta dell’ultima sala, dedicata alla musica, il cui fulcro è la ricostruzione dello Studiolo, smantellato nell’Ottocento e migrato nel secolo successivo al Metropolitan Museum di New York ma restituito di recente alla città in forma di copia dall’eugubina Bottega d’arte di Marcello e Vincenzo Minelli. Le accurate ricostruzioni degli strumenti musicali rappresentati nello Studiolo e le tavole di Giovanni Santi raffiguranti le Muse musicanti chiudono la sezione di mostra di Palazzo Ducale.
Gli interessi di Federico da Montefeltro per le arti del Quadrivio e in particolare per la matematica, l’astronomia e l’astrologia, quest’ultime spesso considerate “scienze occulte” ma da intendersi sempre in connubio con la fede cristiana, sono ricostruiti nella suggestiva sezione allestita presso il Museo Diocesano, aperta dall’affresco staccato rappresentante la musa Urania che tiene in mano l’attributo della sfera. A riprova dell’importanza ricoperta da queste discipline, le fonti attestano la presenza alla corte di Federico di ben due astrologi stipendiati, Paolo da Middelburg e Jacopo da Spira, la cui principale mansione consisteva nella redazione di carte natali e pronostici astrologici sull’anno in corso, tenuti in gran considerazione dal duca per pianificare la sua attività di uomo di stato e condottiero. Tra i vari pronostici esposti in mostra spicca quello del 1482, anno di morte di Federico da Montefeltro, nel quale Paolo da Middelburg aveva curiosamente previsto per lui alcuni problemi di salute. Sono qui presentati al pubblico trattati di astronomia e astrologia unitamente a esemplari originali e fedeli riproduzioni di strumenti scientifici dell’epoca quali astrolabi, sfere armillari, quadranti e compassi la cui ampia circolazione alla corte feltresca è attestata dalla loro ricorrente raffigurazione nelle tarsie degli studioli di Gubbio e Urbino. Conclude l’esposizione un interessante gruppo di amuleti, piccoli manufatti dalla funzione apotropaica realizzati con metalli preziosi e corallo, pelo di tasso, cristallo e dente di lupo, il cui uso nella corte federiciana è testimoniato da opere celeberrime come le pierfrancescane Pala di Brera e Madonna di Senigallia e dalla presenza nella biblioteca del duca di trattati sulle proprietà di pietre e metalli utili alla realizzazione di portafortuna e talismani efficaci.
La “duplice natura” di Federico da Montefeltro, scaltro signore della guerra e insieme fine umanista, è indagata nella sezione espositiva di Palazzo dei Consoli intitolata “lettere coniuncte coll’arme”. I due aspetti, apparentemente antitetici, si compenetrano nella figura del duca, personaggio dalla formazione poliedrica per il quale il mestiere delle armi era fondamentale strumento di affermazione del proprio potere nello scacchiere politico italiano, ma che non disdegnava dare di sé l’immagine del principe umanista e letterato, promuovendo una cultura di corte all’avanguardia anche grazie alla presenza di personalità come Ottaviano Ubaldini della Carda, Vespasiano da Bisticci e la stessa moglie Battista Sforza, i quali ebbero tutti un ruolo determinante nella fondazione dell’illustre Biblioteca federiciana.
La mostra di Palazzo dei Consoli intende ricostruire, al di là delle mitizzazioni della coeva storiografia, la vera formazione culturale del duca di Urbino, spaziando tra i sontuosi manoscritti miniati – come la Bibbia o la Commedia – provenienti dalla “libraria” oggi confluita nella Biblioteca Apostolica Vaticana, testimoni di una cultura “ufficiale” e di rappresentanza, e le reali letture compiute da Federico da Montefeltro. L’esposizione si apre con alcuni codici trecenteschi che attestano la precoce diffusione a Gubbio dei testi danteschi e il fecondo humus culturale della città alle soglie della dominazione feltresca. La prima formazione di Federico è introdotta da opere dei suoi maestri Vittorino da Feltre, fondatore a Venezia della pionieristica scuola Ca’ Zoiosa, e Guarino Veronese. Tra le letture giovanili e mature del duca non mancarono di certo i “classici” della letteratura italiana come Dante e Petrarca, esposti in mostra con prestigiosi prestiti dalle Biblioteche Apostolica Vaticana, Medicea Laurenziana e Nazionale di Madrid, ma doveroso risalto è dato anche alla letteratura “minore” rappresentata dalle rime di Angelo Galli, poeta di corte dei Montefeltro, e dal Canzoniere di Alessandro Sforza, suocero di Federico e poeta egli stesso oltre che collezionista di libri. Una vasta sezione è riservata alla trattatistica militare antica e moderna, tra cui spiccano l’incunabolo De re militari di Roberto Valturio, una copia del quale era custodita nella Biblioteca federiciana, il De componendis cyfris di Leon Battista Alberti atto a scrivere messaggi cifrati e il Liber de arte gladiatoria dimicandi di Filippo Vadi, manuale sulla scherma dedicato a Guidubaldo da Montefeltro.
La mostra libraria comprende anche scritti filosofici (in particolare l’Etica Nicomachea di Aristotele, tra i testi prediletti da Federico da Montefeltro che stando alle fonti era solito tenerne una copia sotto il cuscino), cronache storiche (fondamentale quella di ser Guerriero da Gubbio, notaio al servizio dei Montefeltro anche noto per aver acquistato per conto del Comune le Tavole Iguvine nel 1456), lettere originali del duca e un’interessante miscellanea di componimenti in onore della defunta Battista Sforza.
Oltre ai volumi, Palazzo dei Consoli accoglie una sezione interamente dedicata a Federico uomo d’arme, aperta dall’impressionante statua lignea quattrocentesca del Guerriero dormiente di Hans Klocker, con un cospicuo numero di armi e armature risalenti ai secoli XV e XVI, nessuna delle quali appartenente al duca ma che intendono restituire l’idea degli strumenti della guerra in uso ai suoi tempi. Tra le armi figurano alabarde, ronche, spade da stocco, pugnali “sfondagiaco” (in grado cioè di penetrare la cotta di maglia) di pregevole fattura e un raro esempio di balestra antecedente al Cinquecento giunto integro fino ai giorni nostri, oltre a pezzi di artiglieria pesante come cannoni e bombarde. Parti di armatura quali schiene, petti, cubitiere, elmi e cimieri da battaglia e da parata, di fattura perlopiù lombarda e tedesca, introducono i notevoli modelli completi esposti e in particolare quello realizzato dal famoso armaiolo Antonio Missaglia, la cui foggia ricorda da vicino l’esemplare indossato da Federico da Montefeltro nella Pala di Brera di Piero della Francesca.
La mostra si conclude con due dipinti a tema militare, il Martirio di san Sebastiano di Girolamo Genga, dove è possibile osservare armi da lancio come archi e balestre, e il verrocchiesco fronte di cassone con la Battaglia di Pidna, con probabili interventi nel paesaggio del giovane allievo Leonardo, che trasfigura un episodio di guerra antica rappresentando un’affollata mischia moderna di cavalleria e indulgendo nella descrizione delle preziose armature che sembrano più da parata che da combattimento.
Crittografia: l’evoluzione nel corso dei secoli
di Anna Bettelli, IV ALC del Liceo G. Mazzatinti di Gubbio, PCTO
Il termine crittografia (dal greco kryptos e graphìa, ovvero “scrittura nascosta”) indica l’arte di scrivere messaggi segreti tramite dei codici e degli algoritmi, i quali rendono il messaggio illeggibile a chi non conosce la “chiave di lettura”, la cosiddetta “soluzione”. Sappiamo che fin dall’antichità si utilizzavano messaggi crittografati: i primissimi esempi di crittografia sono stati scoperti in alcuni geroglifici egiziani risalenti a più di 4500 anni fa.
A metà del 1400 Leon Battista Alberti, grande matematico e architetto, grazie ad un’analisi statistica sulla lingua, comprese le falle dei sistemi cifranti e allo scopo di renderli meno vulnerabili definì un codice polialfabetico (realizzato grazie all’utilizzo di più alfabeti, trasformando ad esempio la lettera A in F e proseguendo lo scambio delle lettere per le restanti, sempre seguendo l’ordine alfabetico). Il codice presupponeva la costruzione di uno strumento, il Disco Cifrante di Leon Battista Alberti.
Questo era realizzato da due dischi concentrici (di qualsiasi materiale) uniti da un perno. Sul disco esterno erano riportate 24 caselle contenenti, in maiuscolo e ordinate, le 20 lettere dell’alfabeto latino, con la Z ed escluse le rare H, K (ABCDEFGILMNOPQRSTVXZ), seguite dai numeri 1 2 3 4. Il disco interno viene detto mobile, con 24 lettere minuscole in ordine casuale, disordinato. Questa norma del disordine è fondamentale al fine di rendere più sicuro il cifrario.
Con il passare dei secoli i “messaggi in codice” si sono evoluti, diventando più complessi da risolvere. Ad esempio, invece di lasciare all’uomo il compito di ideare nuovi codici crittografati, nel 1923 venne inventata “Enigma” una macchina capace di creare e decifrare, inviare e ricevere messaggi cifrati. Nella sua prima versione era formata da tre rotori (o dischi cablati) che abbinati diversamente componevano 150 trilioni di combinazioni diverse. Una delle sue versioni più aggiornate venne utilizzata dai tedeschi nella seconda guerra mondiale.
IL CIFRARIO PIGPEN
Il cifrario Pigpen è stato inventato agli inizi del 1700 e veniva originariamente utilizzato dalla massoneria statunitense per mantenere segreti i registri contabili. Viene considerato, grazie alla sua semplicità, un tipo di codice “debole” e facile da decifrare. Il codice Pigpen è realizzato tramite l’associazione delle lettere a dei simboli e questo ne è un esempio:
Di seguito il collegamento per scrivere in codice Pigpen:
https://www.boxentriq.com/code-breaking/pigpen-cipher
Formella FE DUX
Non tutti sanno che Federico da Montefeltro, famoso signore del Rinascimento, grande condottiero italiano, capitano di ventura e mirabile mecenate, è nato qui a Gubbio e precisamente nel Castello di Petroia, proprio il 7 giugno 1422. Fu molto legato alla nostra città, tanto che chiamò suo figlio Guidobaldo, in onore del nostro patrono Sant’Ubaldo. Al Museo Civico di Palazzo dei Consoli si conservano testimonianze relative ai duchi di Urbino; Gubbio era parte integrante del Ducato, ed è dunque chiaro che, nonostante la costruzione di Palazzo Ducale come residenza principale dei Duchi, anche in un palazzo importante come Palazzo dei Consoli ci fossero richiami alla famiglia signorile.
Oltre ai vari stemmi sugli affreschi e nelle fontane del piano nobile del Palazzo, nella sala dell’Arengo si conserva una formella, con il simbolo personale di Federico, che riporta l’iscrizione FE DUX (“Federico Duca”) insieme alle lingue di fuoco. Le lingue, chiamate anche “fiamme d’amore”, caratterizzavano la livrea dei cosiddetti “Accesi“, i giovani adepti della Compagnia della Calza di cui Federico da Montefeltro fece parte durante il periodo veneziano, a partire dal 1433.
Le componenti dell’armatura
di Elisabetta Gasparri e Anna Bettelli , III ALC e IV ALC del Liceo Mazzatinti di Gubbio, PCTO
L’armatura a piastre è un tipo di armatura realizzata con delle piastre di diverso materiale metallico. Si è sviluppata in Europa nel tardo medioevo, dal mantello di piastre indossato sopra le tute di maglia durante il XIV secolo. Questo tipo di armatura era fortemente diffuso in Europa tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo. L’associazione con il “cavaliere medievale” è dovuta alla speciale armatura da giostra che si sviluppò nel XVI secolo, molto decorata e differente da quelle utilizzate in battaglia. Le truppe più corazzate erano la cavalleria pesante, i gendarmi e i primi corazzieri; le truppe di fanteria, dei mercenari svizzeri e dei Lanzichenecchi iniziarono a indossare armature più leggere, che lasciavano scoperta la parte inferiore del corpo.
L’armatura a piastre entrò in disuso nel XVII secolo, utilizzata dalla nobiltà e dai corazzieri durante le guerre di religione europee. Dopo il 1650, l’armatura a piastre venne ridotta a semplice corazza. Ciò era dovuto allo sviluppo del moschetto, un’arma che poteva danneggiare l’armatura più facilmente. Per la fanteria, il pettorale ebbe notevole importanza con lo sviluppo delle armi da fuoco nelle guerre tardo napoleoniche. L’uso di lastre di acciaio cucite nei giubbotti antiproiettile risale alla seconda guerra mondiale, sostituite in seguito da materiali più moderni come la plastica fibrorinforzata.
Ecco alcune parti dell’armatura:
- elmo
- panziera
- schienale
- pettorale
- cotte di maglia in ferro
- ginocchiere
- spallacci
- gambiere
- schiniere
- gorgera
- calzari